C A V T A T

Alberto Maritati alcuni giorni fa mi ha donato il suo racconto, pubblicato da Laterza con il contributo del Consiglio Regionale della Puglia. Finalmente! Finalmente è possibile leggere la storia completa di quegli anni che, dal 1974 al 1978, hanno tenuto con il fiato sospeso non solo l’allora pretore di Otranto Maritati, ma milioni di persone in tutto il mondo. A cominciare dagli otrantini.

Erano anni per me difficili anche dal punto di vista personale. Insieme ad altri ragazzi curavo un giornale locale, “Otranto2000”, eravamo molto presenti in tutte le vicende che riguardavano Otranto. Ed erano anni in cui compivo, cambiavo, scelte di vita fondamentali. Cominciava anche l’amicizia personale con Alberto, che diventò poi collaborazione e che permane.

Sapevo che desiderava riassumere quella vicenda che lo aveva portato alla ribalta internazionale: aveva risolto, nonostante mille avversità di ogni genere, un problema tremendo per Otranto e il suo mare. Ho letto con ansia le 150 pagine in un attimo: una scrittura agile, chiara, essenziale: si legge come un’avventura, un giallo con continui colpi di scena. Sono narrati i fatti, nella loro semplice successione, così come li ha vissuti quotidianamente Maritati: i timori, le difficoltà tecniche, i contrasti, le decisioni difficili e coraggiose, gli attacchi dei politici locali, il silenzio iniziale della stampa locale e poi le campagne di appoggio di Domenico Faivre della Gazzetta del Mezzogiorno e di Antonio Maglio della Tribuna del Salento (“madre” del Quotidiano di Lecce Brindisi Taranto).

Mi ha riportato alla mente quegli anni. Fatti e persone che conoscevo, momenti che avevo vissuto, e particolari per me inediti o scomparsi in qualche angolo della mente. Non ricordavo, ad esempio, che Maritati avesse contattato ad un certo punto direttamente Eni Pietro Sette, dal 1959 nel CdA e dal 1975 presidente dell’Eni, un pugliese amico personale di Aldo Moro. Un grande manager, molto potente in quegli anni, nome che a noi otrantini diceva qualcosa: nella sua qualità di presidente della Efim, e della Efim Insud, era stato tra i protagonisti delle partecipazioni statali nel comprensorio turistico di Alimini. Conosceva Otranto insomma, e le prospettive turistiche della Puglia, e forse anche per questo fu tra i primi “pezzi grossi” a capire e sostenere l’azione di Maritati mettendogli a disposizione la Saipem.

Io avevo vissuto tutta la vicenda dall’esterno, come cittadino e come responsabile del giornale. Sono andato a riprendere Otranto2000 e alcuni numeri de La Tribuna del Salento.

L’Amministrazione comunale di Otranto e autorità nazionali democristiane sin dall’inizio della vicenda si preoccupavano dei riflessi negativi per il turismo derivanti dalle notizie sulla stampa. anche internazionale, dei veleni immersi nel mare. E minimizzavano, attaccando in ogni modo il pretore. Se però Maritati era così preoccupato, ragionavano invece molti cittadini, bisognava darsi da fare. E mentre il pretore conduceva la sua battaglia utilizzando i mezzi della legge, i cittadini, i partiti della sinistra, i sindacati, si misero all’opera: assemblee, dibattiti, pressioni verso i politici locali e non.

Il 30 novembre 1976 La Tribuna del Salento usciva con questa prima pagina:

In una pagina interna si riassume la vicenda e si riferiscono le ipotesi, anche le più fantasiose, sui ritardi del recupero.

Non si capiva cioè cosa stesse succedendo. La stampa internazionale premeva. Alcuni scienziati insistevano sui pericoli del piombo tretraetile. Maritati nel libro spiega il suo lavoro dietro le quinte, le difficoltà giuridiche politiche economiche che stava affrontando. La soluzione dei problemi era più difficile di come immaginava l’opinione pubblica.

Ma qui mi interessa ricordare quel che accadeva ad Otranto. Premessa: la DC otrantina, che aveva il consenso della maggioranza dei cittadini, e governava tranquillamente il paese, non vedeva di buon occhio questo pretore che agiva avendo in mano e in testa la Costituzione, senza inchinarsi ai maggiorenti paesani. L’opposizione, allora erano socialisti, sin dai primi mesi del 1975 aveva sollecitato l’Amministrazione a darsi da fare. Se ne era parlato nel Consiglio comunale del 4 febbraio 1975, e poi in consigli successivi. La maggioranza assicurava, tranquillizzava, spediva telegrammi a ogni più alto livello…ma nulla più. Anzi no: l’accusa più leggera a Maritati era di “televisite”, di danni al nostro turismo. Poi pian piano si muovono i cittadini. Nascono comitati popolari; i partiti di sinistra, il PCI anzitutto, e i sindacati organizzano assemblee con la partecipazione degli organismi provinciali e i cittadini dei paesi vicini: si capisce che serve la pressione della base per coadiuvare il pretore Maritati e per spingere il governo ad intervenire. Anche alcuni dell’Amministrazione si muovono, e tentano di mettersi alla guida del movimento popolare. Il sindaco Totò Miggiano è il più veloce a capire la situazione.

Quel che avviene, sino all’epilogo, lo racconta Maritati nel suo libro.

Ma le polemiche ad Otranto continuano. Nell’aprile 1978 Otranto2000 ospita in due paginoni la posizione dei consiglieri comunali di opposizione, Stefanelli Ottini Cariddi Marcucci. Raccontano nel dettaglio, con documenti e riferimenti precisi, tutta la vicenda. Avevano proposto il conferimento della cittadinanza onoraria al pretore Maritati e in consiglio, il 7 ottobre 1977, il sindaco relazionò a lungo, sostenendo per altro che la proposta era provocatoria, capovolgendo un po’ tutta la storia: accusava la minoranza di aver voluto “ricucire una verginità mai avuta, nascondendosi dietro l’azione valida e coraggiosa di un magistrato che ha operato applicando la Legge e la Costituzione Italiana”.

Di seguito riporto alcuni pezzi di Otranto2000.

Ottobre 1976

Febbraio 1977

Due bambine della IV A della scuola elementare “Ulisse Corazza” di Parma (via Fratelli Bandiera) avevano scritto ai pescatori di Otranto: sul giornale pubblicammo alcune riflessioni e uno dei disegni. A Maritati materiale simile arrivava da moltissime scuole italiane.

Sullo stesso numero pubblicammo anche la lettera di mons. Michele Mincuzzi, vescovo di Ugento, a Maritati.

Nel maggio 1977 ci chiedevamo:

E poi riceviamo questa letterina:

Agosto 1977

La locale DC aveva pubblicato un foglio “Il caso Cavtat, oggi” spiegando la “vera” storia della nave e dei loro eroici tentativi di salvare il nostro mare. Così si spiega il nostro articolo e la vignetta. (infantile, a dire il vero, perché pensavamo il 1999 come data lontanissima, pur avendo nel nostro titolo l’obiettivo del 2000. In realtà doveva arrivare il 2021 per conoscere, con il libro di Maritati, l’intera vera storia!).

Nello stesso numero riportiamo la notizia che il compianto consigliere regionale Totò Fitto aveva presentato una proposta di legge regionale per il “recupero n. 2”, cioè per il rilancio dell’immagine turistica di Otranto e della Puglia. Va ricordato che Totò Fitto era stato uno dei pochi politici a ripetere sin dall’inizio che il recupero andava fatto assolutamente, e che la Regione avrebbe dovuto assumersi subito gli oneri.

Febbraio 1978: riscrivono le ragazze di Parma mentre Fitto fa sapere che la sua proposta di legge incontra difficoltà impreviste…

Un bidone dopo l’altro, Maritati sempre “con l’anima di fuori” come si dice dalle nostre parti, il recupero va avanti.

Inevitabile per la DC locale pensare a una grande festa di ringraziamento, magari con i ministri Ruffini e Lattanzio e ovviamente Maritati, che dal sindaco Miggiano ormai era chiamato “faro di luce e di speranza per noi otrantini”.

E la festa si fa.

Ne scriviamo nell’aprile 1978.

Ma non è finita. Nel numero di giugno 1978 trovo quest’ultimo pezzo:

Voglio però concludere questa personale rievocazione con l’editoriale pubblicato nel febbraio 1977. Suscitò un po’ di rumore e qualche malumore, in paese. A me piacque molto perché rispecchiava il nostro pensiero in pieno e, sicuramente, il pensiero di Alberto Maritati, come il suo libro dimostra.

E infine, solo nel 1996, per iniziativa del sindaco Francesco Vetruccio, viene apposta questa targa:

Ferrante Fever

Confesso di aver rinunciato per molto tempo a leggere Elena Ferrante, i quattro volumi de L’Amica geniale. Un po’ di snobismo, il fastidio per questa/o autore che si nasconde, la casa editrice che non pubblica i volumi in edizione economica, il fatto che anche negli Usa la Ferrante fosse diventata di moda… Poi mi è capitato di vedere in tempi recenti il docu-film “Ferrante Fever”. Le testimonianze di Franzen, Elisabeth Strout, Nicola Lagioia… mi hanno convinto a provare la lettura. Ho letto i quattro volumi tutti di seguito, con piacere crescente. Un romanzo “nazionale”, un racconto intenso dell’Italia, gli ultimi decenni della nostra storia nazionale ben delineati sullo sfondo delle vite delle persone. Vite intense, misteriose, comuni, riuscite o fallite. Donne in perenne fatica per essere donne, anche quando non sanno cosa significhi o possa significare. Uomini comuni anche quando raggiungono vette di non si capisce cosa. E l’essere donne e uomini in un contesto spazio temporale ben definito finisce per travalicare quel contesto diventando problematicamente universale.

(i brani che riporto sono tratti dall’ultimo volume)

 

Che fare dunque? Darle ancora una volta ragione? Accettare che essere adulti è smettere di mostrarsi, è imparare a nascondersi fino a svanire? Ammettere che più gli anni avanzano, meno so di Lila?

 

Era un uomo che sprigionava autorità, anche se l’autorità è una patina e a volte basta poco perché, seppure per qualche minuto, metta crepe e si intraveda un’altra persona meno edificante.

 

E poi rise, si tirò su dalla poltrona, disse oscuramente che secondo lui l’amore finiva solo quando era possibile tornare a se stessi senza timore o disgusto, e uscì dalla stanza strascicando il passo, come se volesse assicurarsi della materialità del pavimento.

 

Ci restava male – devo dire – anche quando riducevo a dimensioni comuni persone note con cui avevo avuto a che fare.

<<Quindi>> concluse una mattina, <<questa gente non è quello che sembra>>.

<<Niente affatto, spesso sono bravi nel loro lavoro. Ma per il resto sono avidi, godono a farti del male, stanno coi forti e si accaniscono contro i deboli, formano bande per combattere altre bande, trattano le donne come cagnoline da passeggio, appena possono ti dicono oscenità e ti mettono le mani addosso esattamente come negli autobus qui da noi>>.

<<Stai esagerando?>>.

<<No, per produrre idee non è necessario essere santi. E comunque gli intellettuali veri sono pochissimi. La massa dei colti commenta pigramente per tutta la vita idee altrui. Le loro migliori energie le impegnano in esercizi di sadismo contro ogni possibile rivale>>.

 

Amavo la mia città, ma mi strappai dal petto ogni sua difesa d’ufficio. Mi convinsi anzi che lo sconforto in cui finiva presto o tardi l’amore fosse una lente per guardare l’intero Occidente. Napoli era la grande metropoli europea dove con maggiore chiarezza la fiducia nelle tecniche, nella scienza, nello sviluppo economico, nella bontà della natura, nella storia che porta necessariamente verso il meglio, nella democrazia si era rivelata con largo anticipo del tutto priva di fondamento. Essere nati in questa città – arrivai a scrivere una volta, pensando non a me ma al pessimismo di Lila – serve a una sola cosa: sapere da sempre, quasi per istinto, ciò che oggi tra mille distinguo cominciano a sostenere tutti: il sogno di progresso senza limiti è in realtà un incubo pieno di ferocia e di morte.

 

Fu la prima volta, ricordo, che ci fantasticai sopra, ma non ressi a lungo, mi affacciai su un pozzo scuro con qualche scintillio di luce e mi ritrassi. Ogni rapporto intenso tra esseri umani è pieno di tagliole e se si vuole che duri bisogna imparare a schivarle.

 

…contemplavo serenamente i corpi giovani, carichi di energia delle mie figlie. Mi assomigliavano tutte e nessuna, la loro vita era lontanissima dalla mia e tuttavia le sentivo parte inscindibile di me. … Oh loro appartengono ormai ad altri luoghi e ad altre lingue. Considerano l’Italia un angolo splendido del pianeta e, insieme, una provincia insignificante e inconcludente, abitabile solo per una breve vacanza. … Sono fiere di me e tutta via so che nessuna di loro mi sopporterebbe a lungo. … Il mondo è prodigiosamente cambiato e appartiene sempre più a loro, sempre meno a me. … Hanno modi, voci, esigenze, pretese, consapevolezza di sé che io ancora oggi non oso permettermi. Altri, altre non hanno questa stessa fortuna. Nei Paesi di qualche agiatezza è prevalsa una medietà che nasconde gli orrori del resto del mondo. Quando da quegli orrori si sprigiona una violenza che arriva fin dentro le nostre città e le nostre abitudini, sussultiamo, ci allarmiamo.

 

 

Tutto quello che è un uomo

tutto quello

“Si immagina sempre che alla fine arrivi un po’ di serenità. Una qualche forma di serenità. Non solo un penoso disastro di merda e dolore e lacrime. Un po’ di serenità. qualunque cosa significhi. E più il momento si avvicina, più quel significato diventa astruso. Amemus aeterna et non peritura. Sembrerebbe un buon consiglio, se si è in cerca di serenità. Solo che c’è sempre quel problema – che cosa si intende per aeterna? Che cosa è eterno, a questo mondo? Ovunque Tony guardi, dalla pelle cadente delle sue mani di vecchio, che non sente poi così sue, visto che non si pensa come un vecchio, fino al sole che diffonde una luce bianca sul piatto paesaggio circostante – ovunque guardi, vede solo peritura. Solo ciò che passa.”

In libreria ero stato attirato dalla foto. Forse avevo letto da qualche parte una segnalazione. Non impazzisco di piacere per i racconti ma questi li ho letti tutto d’un fiato, come fosse un unico lungo racconto, un romanzo. Alla fine, solo alla fine, ho letto il risvolto di copertina e ho avuto la conferma del senso unitario di ciò che avevo letto: “Nove uomini, in diverse età della vita, dall’adolescenza alla vecchiaia. … I nove fanno quasi tutte le cose che i maschi sono soliti fare: inseguono donne, le abbandonano, tentano un affare improbabile, cercano un luogo dove vivere un esilio decente, chiacchierano, sognano un’altra vita. E se ad ogni capitolo tutto – protagonista, ambiente, atmosfera – cambia, fin dal primo stacco le nove storie sembrano una sola.”

Nessun capitolo, nessuna storia, ha una conclusione, un finale. Ciascuno può pensare quello che crede. “Ciò che abbiamo davanti si rivela per quel che è, in tutta la sua perturbante evidenza: il nostro tempo, quello che viviamo ogni giorno, in forma di romanzo”.

Da dove cominciare?

cose        tranquilli     chinua

“Da dove cominciare? dalle masse? E come educare le masse?”. Scosse la testa. “Non c’è speranza. Ci vorrebbero secoli. Con un’élite al comando. O un uomo solo di larghe vedute: un dittatore illuminato. È una parola che oggi fa paura alla gente. Ma quale democrazia può esistere accanto a tanta corruzione e ignoranza? Solo un compromesso.” Arrivato a questo punto, Obi si dovette ricordare che fino a poco tempo prima l’Inghilterra era stato un Paese altrettanto corrotto. Ma non era dell’umore per fare ragionamenti complessi, e non vedeva l’ora di lasciar riposare la mente in paesaggi più piacevoli.

CHINUA ACHEBE ha scritto una trilogia dal 1958 al 1964. Tre generazioni africane, nigeriane, colte sul finire del colonialismo. Il primo volume, Thing Fall Apart, ebbe un successo straordinario; tradotto in 50 lingue, vendette oltre 10 milioni di copie. Alcuni recensori lo classificarono come uno dei grandi romanzi del Novecento. I tre volumi furono pubblicati in italiano nel 1977 da Jaca Book. In questi anni La nave di Teseo li sta ripubblicando con nuova traduzione. Ho conosciuto questo scrittore e queste sue opere solo adesso, impressionato dalla tremenda attualità e quindi universalità del suo lavoro. Il secondo volume, Non più tranquilli, è stato appena pubblicato.  Da questo testo riporto alcuni passi. Sto consigliando la lettura alle mie amiche ed amici.

(Il signor Green è un funzionario inglese che avvia al lavoro pubblico i giovani africani che hanno studiato in Inghilterra). “Spesso mi stupisce la faccia tosta con cui voi africani chiedete le licenze. All’inizio erano state pensate per permettere agli europei di staccare e di andare in qualche posto più fresco come Jos o Buea. Ma quando un africano come lei, che ha già fin troppi privilegi, chiede due settimane per andare a zonzo, mi viene voglia di strapparmi i capelli.” Obi disse che non si sarebbe disperato se avessero abolito le licenze. Ma era il governo che doveva deciderlo. “Sono quelli come voi che devono fare pressione sul governo. L’ho sempre detto. ma non c’è un solo nigeriano disposto a rinunciare a un piccolo privilegio nell’interesse del suo Paese. Dai ministri all’ultimo degli impiegati. E poi dite che volete l’indipendenza.”

vasilij grossman

ho scoperto vasilij grossman da pochissimo tempo. grazie a mario desiati.  in questi giorni è un mio compagno di navigazione.  prima con il bene sia con voi, racconti dolcissimi e spiazzanti. era un giornalista e lo si capisce leggendo questi racconti. mario aveva scritto che la strada lo aveva colpito profondamente, letteratura purissima. e in effetti colpisce al cuore la storia del mulo italiano che “vede” treblinka e il gulag…
e poi tutta l’umanità che vasilij abbraccia, incontra, la fa sentire vicinissima a noi che leggiamo…
il bene sia con voi, l’ultimo “racconto”, è la cronaca di un viaggio in armenia nel 1961. cronaca che è poema… (devo far leggere a donpasta gli incontri e le discussioni e le considerazioni sul cibo e la cucina e i popoli diversi, sono sicuro che sarà interessato. ma questa è un’altra storia).
adesso vasilij mi sta accompagnando con vita e destino. un testo monumentale che sorregge questi miei giorni. ne parleremo.