“Si immagina sempre che alla fine arrivi un po’ di serenità. Una qualche forma di serenità. Non solo un penoso disastro di merda e dolore e lacrime. Un po’ di serenità. qualunque cosa significhi. E più il momento si avvicina, più quel significato diventa astruso. Amemus aeterna et non peritura. Sembrerebbe un buon consiglio, se si è in cerca di serenità. Solo che c’è sempre quel problema – che cosa si intende per aeterna? Che cosa è eterno, a questo mondo? Ovunque Tony guardi, dalla pelle cadente delle sue mani di vecchio, che non sente poi così sue, visto che non si pensa come un vecchio, fino al sole che diffonde una luce bianca sul piatto paesaggio circostante – ovunque guardi, vede solo peritura. Solo ciò che passa.”
In libreria ero stato attirato dalla foto. Forse avevo letto da qualche parte una segnalazione. Non impazzisco di piacere per i racconti ma questi li ho letti tutto d’un fiato, come fosse un unico lungo racconto, un romanzo. Alla fine, solo alla fine, ho letto il risvolto di copertina e ho avuto la conferma del senso unitario di ciò che avevo letto: “Nove uomini, in diverse età della vita, dall’adolescenza alla vecchiaia. … I nove fanno quasi tutte le cose che i maschi sono soliti fare: inseguono donne, le abbandonano, tentano un affare improbabile, cercano un luogo dove vivere un esilio decente, chiacchierano, sognano un’altra vita. E se ad ogni capitolo tutto – protagonista, ambiente, atmosfera – cambia, fin dal primo stacco le nove storie sembrano una sola.”
Nessun capitolo, nessuna storia, ha una conclusione, un finale. Ciascuno può pensare quello che crede. “Ciò che abbiamo davanti si rivela per quel che è, in tutta la sua perturbante evidenza: il nostro tempo, quello che viviamo ogni giorno, in forma di romanzo”.